José Matias - Scena 4
Nella cucina di HELENA. Al centro un piano di lavoro, a destra un tavolo con quattro sedie piccole e fragili, a sinistra una credenza vecchia, enorme. Sproporzione tra la credenza e l’insieme del tavolo con le sedie. Sul fondo, gli elettrodomestici e un frigorifero. HELENA sta preparando un’insalata e allo stesso tempo parla al telefono. Tiene incastrato il telefono senza fili tra la testa e la spalla. L’idea di questa scena è che ogni gesto fatto per la preparazione dell’insalata possa fornire un certo contrappunto alle parole di HELENA. Di tanto in tanto finisce una delle fasi dell’insalata, apre un contenitore da frigo, vi mette delle verdure, lo chiude ermeticamente, apre lo sportello del frigorifero, lasciando intravedere decine di scatoline tutte uguali piene di insalata.
HELENA — ....gli uomini vogliono una mammina che si prenda cura di loro, non mollano mai le mogli, a meno di sostituire una mammina con un’altra... E hanno una paura di loro... povero disgraziato! No, Maria Antónia è sempre stata una bonacciona, lo ha sempre coccolato molto, ora invece... Sì, ma si è trascurata, si è ingrassata, non si cura... E ha quella passione malsana per il cane. La figlia? Assolutamente insopportabile, di quelle tutte precisine, si dà tante arie, e deve cenare di tutto punto alle otto precise, e si mette quella collanina di perle, sembra Carolina di Monaco quando si dava le arie da principessa... quattro bei ceffoni... No, è tutto sulle spalle dei genitori, e ha bisogno di un computer portatile, e poi ha bisogno di libri carissimi... sembra che abbia un lavoro, dice che è in non so quale museo, io non ci credo un granché, la vedo solo a fare shopping e a parlare al cellulare... È una bella imbrogliona... Poverino, non ha avuto un briciolo di fortuna... Con le donne, realmente, ci vuole una pazienza... e tutte quelle donne lo manipolano, lo comandano a bacchetta, un uomo con il suo curriculum! Greco e Latino! Chi c’è oggi che sa Greco e Latino? Un tipo intelligentissimo, e di una sensibilità, una saggezza di vita... Ma è così, che ci vuoi fare? Le persone si ucciderebbero pur di non restare sole. E lui ce la fa da solo? No, la moglie in fondo è quella che ci fa meno caso, è la figlia che controlla tutto... (Pausa) Aspetta, mamma, ho un’altra chiamata in linea, lasciami vedere chi è... (Mette la chiamata in attesa e risponde all’altra linea) Zé ! Stavo giusto parlando di te... Ah, sì ? Di nuovo? Merda…! Ci vai tu? No, lascia perdere, ho la chiave io. (Pausa) Per carità, a che servono gli amici?
SCENA 5.
MARIA ANTÓNIA e CARLA sono sedute a tavola, l’una di fronte all’altra. Accanto alla tavola c’è un carrello per il tè. Hanno appena cenato con un’insalata. MARIA ANTÓNIA prende il pacchetto delle sigarette, CARLA la guarda e lei posa il pacchetto.
CARLA — Dovresti farti le meches. Ti alleggerirebbero.
MARIA ANTÓNIA — Forse ho bisogno di tagliarli un po’.
CARLA — Il taglio non risolve la situazione. Tu hai un problema, hai la faccia molto tonda. Devi alleggerire il colore e sistemare i capelli un po’ più sul viso.
MARIA ANTÓNIA — Ma racconta di Frederico.
CARLA (senza troppo entusiasmo) — Mi ha portata a pranzo in un posto straordinario, una cosa nuova. È il locale dove vanno tutti. Si mangia benissimo. Molto bello, molto dinamico. E nel bel mezzo del pranzo, Federico mi ha regalato un braccialetto... di diamanti!
MARIA ANTÓNIA — Che meraviglia! Fa vedere!
CARLA — L’ho messo in Banca, nella cassetta di sicurezza, sei matta? Andarmene in giro con un bracciale di quel valore?
MARIA ANTÓNIA — Hai fatto bene, certo. È più prudente. Ci andate poi a Roma per il fine settimana?
CARLA — Forse il prossimo, in questo lui deve lavorare.
MARIA ANTÓNIA (un poco timorosa) — E quando ce lo porti...?
CARLA — Prima o poi, vedremo.
MARIA ANTÓNIA — Lo dici da più di sei mesi.
CARLA — Non ho molta voglia di portarlo qui, va bene?
CARLA si alza e comincia a sistemare le stoviglie sul carrello del tè con molta cura. Via via che il tono della sua voce aumenta con violenza, aumenta il rigore geometrico della sistemazione delle stoviglie.
MARIA ANTÓNIA (sinceramente sorpresa) — Ma perché?
CARLA (dopo una pausa) — Non è proprio una casa dove si abbia voglia di portare gente, non trovi?
MARIA ANTÓNIA — È una casa come le altre, suvvia. Porti Federico, facciamo una cenetta. Tuo padre si mette la cravatta, sceglie il vino. Io mi faccio le mie meches. Saremmo una famiglia a cena.
CARLA — Perché papà mettesse la cravatta e scegliesse il vino, prima dovrebbe venire a casa.
MARIA ANTÓNIA — Ma tuo padre viene a casa.
CARLA — Viene a cambiarsi e a fare colazione, giusto una volta ogni tanto, prima di andare all’Università.
MARIA ANTÓNIA — Gli è sempre piaciuto fare colazione a casa.
CARLA (fredda) — Capisco benissimo che non voglia venire a casa. Capisco che non voglia venire da te.
MARIA ANTÓNIA — A volte nemmeno io voglio venire a casa per stare con me...
CARLA la guarda dritto negli occhi.
CARLA — Non so nemmeno come ha fatto a sopportarlo per così tanto tempo.
MARIA ANTÓNIA — Per inerzia, credo.
CARLA — Perché dovrebbe venire qui?
MARIA ANTÓNIA — Viene a trovarti quasi tutti i giorni .
CARLA — Mi viene a prendere per portarmi a cena.
MARIA ANTÓNIA — Lo sai che ti adora. Gli piace moltissimo stare con te.
CARLA (sempre più nervosa) — Dovrebbe venire qui a sentire le tue amiche e i tuoi amici, che sono noiosi da morire? No, me li sorbisco io! Non c’è un giorno che questa casa non sia piena di gente e di cani e di chiasso e di cene e di merde e delle tue chiacchiere!
MARIA ANTÓNIA (con molta calma) — Oggi siamo solo noi due.
CARLA — Che gioia!
MARIA ANTÓNIA — Tuo padre e io... Non discuterò su tuo padre con te.
CARLA — No, io! Sono io che soffro. Tu te ne freghi.
MARIA ANTÓNIA — Scusa, ma non è colpa mia. È andata così.
CARLA — Non fai nessuno sforzo, lasci perdere, non lo sai che i rapporti tra le persone devono essere coltivati? Non è quello che dici sempre? Che si devono coltivare... Soprattutto con le persone che amiamo di più? Non è quello che si deve fare? Si devono coltivare! Allora coltiva! Coltiva!
SCENA 6.
CRISTINA è seduta sul pavimento, indossa il pigiama di prima. HELENA, in piedi, la guarda con disapprovazione.
CRISTINA (allunga il polso) — Controllami il battito.
HELENA (senza toccarla) — Il battito è a posto. Lascia perdere il battito. Stai benissimo.
CRISTINA — Non ho genitori, non ho figli, non ho un marito, non ho un fidanzato. Sto benissimo.
HELENA — Hai il tuo lavoro e hai i tuoi amici.
CRISTINA — Sono completamente sola....
HELENA — Che cominciano a stufarsi delle tue scene.
CRISTINA la guarda, imbarazzata.
HELENA (prende lo sgabello, si siede accanto a lei) — Che cosa è successo questa volta?
CRISTINA — Sono salita sullo sgabello e quella puttana di una trave...
HELENA — Non quello, sciocca. Che cosa è successo per farti salire sullo sgabello?
CRISTINA — Mi fa male tutto. Qui dentro.
HELENA — Ma non hai preso l’antidepressivo?
CRISTINA — Certo che l’ho preso, anzi, ne prendo diversi. Prendo l’antidepressivo per andare in autobus, perché a volte non ci sono posti liberi e mi viene una tristezza quando sto in mezzo a quella gente stanca, che oscilla con un’aria abbacchiata, e prendo l’antidepressivo per andare a lavorare all’agenzia di viaggi, ma quello è di un’altra marca, sono delle compresse azzurre, e mi danno molta pazienza per sopportare le persone che vogliono andare dappertutto, o da qualsiasi parte, o da nessuna parte, sono persone che non vogliono essere e non vogliono stare... poi prendo l’antidepressivo per guardare l’orologio del soggiorno, perché ogni volta che quel pendolo si muove, il tempo passa e lui non è con me.
HELENA — Ossia, non hai preso l’antidepressivo.
CRISTINA — Mi toglie la sensibilità.
HELENA — È meglio della forca.
CRISTINA — Mi fa male tutto. Sono stanca.
Si sdraia sul pavimento, in posizione quasi fetale. HELENA le fa una carezza con riluttanza.
HELENA — Ma ti è successo qualcosa? Il coso ti ha fatto qualcosa?
CRISTINA — No, il coso se n’è andato per i fatti suoi.
HELENA — Ah. Come mai?
CRISTINA — Non te lo posso dire.
HELENA — Se ti conosco bene, hai rimorchiato un altro coso che ti ha fatto un’altra cosa?
Pausa.
CRISTINA — Non ne voglio parlare.
HELENA — Non credi che forse sarebbe il momento di cambiare atteggiamento rispetto alle cose del coso? Perché questa storia di ucciderti di mercoledì e di sabato...
CRISTINA — Non mi sembra di avere nessun atteggiamento speciale. Mi fa male dove mi fa male e quando mi fa male, che è dove sono sensibile. Tutto qui. Se non fossi sensibile, non mi farebbe male.
HELENA si alza, comincia ad arrotolare la corda e se la tiene.
HELENA — Credo che non ci sia nessun male nell’essere sensibile. Quello che fai tu non è essere sensibile, ma essere stupida. Sembrava che stessi meglio, invece…
CRISTINA — Non è ancora finita. Solo quando sarà finita ti potrai girare verso i presenti e dire quelle cose, perché sono una specie di conclusione. E questa è stata solo una fase. Non sapevo che sarebbe stata una fase quando sono salita sullo sgabello, ma forse sospettavo, temevo…
HELENA — Ma nella prossima fase non contare su di me. Continua pure senza di me.
CRISTINA — Ci fu un Re in Persia, si chiamava Creso, che chiese a Solone, un grande saggio, se aveva già conosciuto l’uomo più felice del mondo. E Solone: sì, Telo di Atene. Creso rimase fregato, perché aveva appena mostrato al Greco infiniti tesori. Che erano tutti suoi, che gli appartenevano davvero. Oro e pietre preziose e cose buone della Persia. Terre. Buoi. Cavalli. Ma Solone credeva che solo dopo morto si può dire di un uomo se è stato felice oppure no. L’uomo, rispose Solone a Creso, è tutto accadimento. “È necessario vedere la fine di ogni cosa e come si concluderà. Perché a molti il dio lascia vedere la felicità e poi li abbatte senz’appello”.
HELENA — Ho già sentito Zé che raccontava quella storia almeno una decina di volte.
CRISTINA — Solo dopo mesi, o addirittura dopo anni, se per caso parlerai di me, potrai dire “sembrava che stesse meglio, invece”….
HELENA — E il collo?
CRISTINA — C’è ancora.
HELENA — Ti senti bene?
HELENA — ....gli uomini vogliono una mammina che si prenda cura di loro, non mollano mai le mogli, a meno di sostituire una mammina con un’altra... E hanno una paura di loro... povero disgraziato! No, Maria Antónia è sempre stata una bonacciona, lo ha sempre coccolato molto, ora invece... Sì, ma si è trascurata, si è ingrassata, non si cura... E ha quella passione malsana per il cane. La figlia? Assolutamente insopportabile, di quelle tutte precisine, si dà tante arie, e deve cenare di tutto punto alle otto precise, e si mette quella collanina di perle, sembra Carolina di Monaco quando si dava le arie da principessa... quattro bei ceffoni... No, è tutto sulle spalle dei genitori, e ha bisogno di un computer portatile, e poi ha bisogno di libri carissimi... sembra che abbia un lavoro, dice che è in non so quale museo, io non ci credo un granché, la vedo solo a fare shopping e a parlare al cellulare... È una bella imbrogliona... Poverino, non ha avuto un briciolo di fortuna... Con le donne, realmente, ci vuole una pazienza... e tutte quelle donne lo manipolano, lo comandano a bacchetta, un uomo con il suo curriculum! Greco e Latino! Chi c’è oggi che sa Greco e Latino? Un tipo intelligentissimo, e di una sensibilità, una saggezza di vita... Ma è così, che ci vuoi fare? Le persone si ucciderebbero pur di non restare sole. E lui ce la fa da solo? No, la moglie in fondo è quella che ci fa meno caso, è la figlia che controlla tutto... (Pausa) Aspetta, mamma, ho un’altra chiamata in linea, lasciami vedere chi è... (Mette la chiamata in attesa e risponde all’altra linea) Zé ! Stavo giusto parlando di te... Ah, sì ? Di nuovo? Merda…! Ci vai tu? No, lascia perdere, ho la chiave io. (Pausa) Per carità, a che servono gli amici?
SCENA 5.
MARIA ANTÓNIA e CARLA sono sedute a tavola, l’una di fronte all’altra. Accanto alla tavola c’è un carrello per il tè. Hanno appena cenato con un’insalata. MARIA ANTÓNIA prende il pacchetto delle sigarette, CARLA la guarda e lei posa il pacchetto.
CARLA — Dovresti farti le meches. Ti alleggerirebbero.
MARIA ANTÓNIA — Forse ho bisogno di tagliarli un po’.
CARLA — Il taglio non risolve la situazione. Tu hai un problema, hai la faccia molto tonda. Devi alleggerire il colore e sistemare i capelli un po’ più sul viso.
MARIA ANTÓNIA — Ma racconta di Frederico.
CARLA (senza troppo entusiasmo) — Mi ha portata a pranzo in un posto straordinario, una cosa nuova. È il locale dove vanno tutti. Si mangia benissimo. Molto bello, molto dinamico. E nel bel mezzo del pranzo, Federico mi ha regalato un braccialetto... di diamanti!
MARIA ANTÓNIA — Che meraviglia! Fa vedere!
CARLA — L’ho messo in Banca, nella cassetta di sicurezza, sei matta? Andarmene in giro con un bracciale di quel valore?
MARIA ANTÓNIA — Hai fatto bene, certo. È più prudente. Ci andate poi a Roma per il fine settimana?
CARLA — Forse il prossimo, in questo lui deve lavorare.
MARIA ANTÓNIA (un poco timorosa) — E quando ce lo porti...?
CARLA — Prima o poi, vedremo.
MARIA ANTÓNIA — Lo dici da più di sei mesi.
CARLA — Non ho molta voglia di portarlo qui, va bene?
CARLA si alza e comincia a sistemare le stoviglie sul carrello del tè con molta cura. Via via che il tono della sua voce aumenta con violenza, aumenta il rigore geometrico della sistemazione delle stoviglie.
MARIA ANTÓNIA (sinceramente sorpresa) — Ma perché?
CARLA (dopo una pausa) — Non è proprio una casa dove si abbia voglia di portare gente, non trovi?
MARIA ANTÓNIA — È una casa come le altre, suvvia. Porti Federico, facciamo una cenetta. Tuo padre si mette la cravatta, sceglie il vino. Io mi faccio le mie meches. Saremmo una famiglia a cena.
CARLA — Perché papà mettesse la cravatta e scegliesse il vino, prima dovrebbe venire a casa.
MARIA ANTÓNIA — Ma tuo padre viene a casa.
CARLA — Viene a cambiarsi e a fare colazione, giusto una volta ogni tanto, prima di andare all’Università.
MARIA ANTÓNIA — Gli è sempre piaciuto fare colazione a casa.
CARLA (fredda) — Capisco benissimo che non voglia venire a casa. Capisco che non voglia venire da te.
MARIA ANTÓNIA — A volte nemmeno io voglio venire a casa per stare con me...
CARLA la guarda dritto negli occhi.
CARLA — Non so nemmeno come ha fatto a sopportarlo per così tanto tempo.
MARIA ANTÓNIA — Per inerzia, credo.
CARLA — Perché dovrebbe venire qui?
MARIA ANTÓNIA — Viene a trovarti quasi tutti i giorni .
CARLA — Mi viene a prendere per portarmi a cena.
MARIA ANTÓNIA — Lo sai che ti adora. Gli piace moltissimo stare con te.
CARLA (sempre più nervosa) — Dovrebbe venire qui a sentire le tue amiche e i tuoi amici, che sono noiosi da morire? No, me li sorbisco io! Non c’è un giorno che questa casa non sia piena di gente e di cani e di chiasso e di cene e di merde e delle tue chiacchiere!
MARIA ANTÓNIA (con molta calma) — Oggi siamo solo noi due.
CARLA — Che gioia!
MARIA ANTÓNIA — Tuo padre e io... Non discuterò su tuo padre con te.
CARLA — No, io! Sono io che soffro. Tu te ne freghi.
MARIA ANTÓNIA — Scusa, ma non è colpa mia. È andata così.
CARLA — Non fai nessuno sforzo, lasci perdere, non lo sai che i rapporti tra le persone devono essere coltivati? Non è quello che dici sempre? Che si devono coltivare... Soprattutto con le persone che amiamo di più? Non è quello che si deve fare? Si devono coltivare! Allora coltiva! Coltiva!
SCENA 6.
CRISTINA è seduta sul pavimento, indossa il pigiama di prima. HELENA, in piedi, la guarda con disapprovazione.
CRISTINA (allunga il polso) — Controllami il battito.
HELENA (senza toccarla) — Il battito è a posto. Lascia perdere il battito. Stai benissimo.
CRISTINA — Non ho genitori, non ho figli, non ho un marito, non ho un fidanzato. Sto benissimo.
HELENA — Hai il tuo lavoro e hai i tuoi amici.
CRISTINA — Sono completamente sola....
HELENA — Che cominciano a stufarsi delle tue scene.
CRISTINA la guarda, imbarazzata.
HELENA (prende lo sgabello, si siede accanto a lei) — Che cosa è successo questa volta?
CRISTINA — Sono salita sullo sgabello e quella puttana di una trave...
HELENA — Non quello, sciocca. Che cosa è successo per farti salire sullo sgabello?
CRISTINA — Mi fa male tutto. Qui dentro.
HELENA — Ma non hai preso l’antidepressivo?
CRISTINA — Certo che l’ho preso, anzi, ne prendo diversi. Prendo l’antidepressivo per andare in autobus, perché a volte non ci sono posti liberi e mi viene una tristezza quando sto in mezzo a quella gente stanca, che oscilla con un’aria abbacchiata, e prendo l’antidepressivo per andare a lavorare all’agenzia di viaggi, ma quello è di un’altra marca, sono delle compresse azzurre, e mi danno molta pazienza per sopportare le persone che vogliono andare dappertutto, o da qualsiasi parte, o da nessuna parte, sono persone che non vogliono essere e non vogliono stare... poi prendo l’antidepressivo per guardare l’orologio del soggiorno, perché ogni volta che quel pendolo si muove, il tempo passa e lui non è con me.
HELENA — Ossia, non hai preso l’antidepressivo.
CRISTINA — Mi toglie la sensibilità.
HELENA — È meglio della forca.
CRISTINA — Mi fa male tutto. Sono stanca.
Si sdraia sul pavimento, in posizione quasi fetale. HELENA le fa una carezza con riluttanza.
HELENA — Ma ti è successo qualcosa? Il coso ti ha fatto qualcosa?
CRISTINA — No, il coso se n’è andato per i fatti suoi.
HELENA — Ah. Come mai?
CRISTINA — Non te lo posso dire.
HELENA — Se ti conosco bene, hai rimorchiato un altro coso che ti ha fatto un’altra cosa?
Pausa.
CRISTINA — Non ne voglio parlare.
HELENA — Non credi che forse sarebbe il momento di cambiare atteggiamento rispetto alle cose del coso? Perché questa storia di ucciderti di mercoledì e di sabato...
CRISTINA — Non mi sembra di avere nessun atteggiamento speciale. Mi fa male dove mi fa male e quando mi fa male, che è dove sono sensibile. Tutto qui. Se non fossi sensibile, non mi farebbe male.
HELENA si alza, comincia ad arrotolare la corda e se la tiene.
HELENA — Credo che non ci sia nessun male nell’essere sensibile. Quello che fai tu non è essere sensibile, ma essere stupida. Sembrava che stessi meglio, invece…
CRISTINA — Non è ancora finita. Solo quando sarà finita ti potrai girare verso i presenti e dire quelle cose, perché sono una specie di conclusione. E questa è stata solo una fase. Non sapevo che sarebbe stata una fase quando sono salita sullo sgabello, ma forse sospettavo, temevo…
HELENA — Ma nella prossima fase non contare su di me. Continua pure senza di me.
CRISTINA — Ci fu un Re in Persia, si chiamava Creso, che chiese a Solone, un grande saggio, se aveva già conosciuto l’uomo più felice del mondo. E Solone: sì, Telo di Atene. Creso rimase fregato, perché aveva appena mostrato al Greco infiniti tesori. Che erano tutti suoi, che gli appartenevano davvero. Oro e pietre preziose e cose buone della Persia. Terre. Buoi. Cavalli. Ma Solone credeva che solo dopo morto si può dire di un uomo se è stato felice oppure no. L’uomo, rispose Solone a Creso, è tutto accadimento. “È necessario vedere la fine di ogni cosa e come si concluderà. Perché a molti il dio lascia vedere la felicità e poi li abbatte senz’appello”.
HELENA — Ho già sentito Zé che raccontava quella storia almeno una decina di volte.
CRISTINA — Solo dopo mesi, o addirittura dopo anni, se per caso parlerai di me, potrai dire “sembrava che stesse meglio, invece”….
HELENA — E il collo?
CRISTINA — C’è ancora.
HELENA — Ti senti bene?